19/09/17

Gli Uni e gli Altri

articolo scritto in occasione di 
a cura di Giovanni Caudo, Janet Hetman, Annalisa Metta

Case vecchie, case nuove, case di lusso, casermoni, torri, stecche, villettopoli, baraccopoli, zone agricole, industriali, commerciali, ferroviarie, orti urbani, campi arati, campi incolti, parchi, giardini, fiumi, torrenti, rovine antiche, rovine contemporanee, altri tempi, altre epoche, altri abitanti, altre velocità, altre culture, altre abitudini. Compresenti, presenti insieme, ibridi, contaminati, estranei, eterogenei. Uno dopo l’altro, uno di fronte all’altro, uno dentro l’altro, uno sopra all’altro. Già… ma soprattutto, qual è l’Uno e qual è l’Altro? E noi… siamo nell’Uno o nell’Altro? E se siamo nell’Uno, siamo proprio sicuri di saperlo vedere, l’Altro? Siamo certi di saperlo riconoscere il diverso da noi Uni? E di saper accettare il suo voler rimanere Altro, finanche il suo rifiuto di diventare noi? Siamo capaci di non voler assimilare, colonizzare, omologare, pacificare l’Altro? Siamo disposti a non indurlo a diventar semplicemente uno dei tanti Uno?


Terrains Vagues, descampados, waste lands, spazi in abbandono. Quanti Spazi Altri, Territori Attuali, Terzi Paesaggi, e quanti spazi interstiziali, residuali, marginali, spariscono ogni giorno per l’avanzare dei nostri Uno incapaci di vederli? Quanti di loro son condannati ogni giorno a trasformarsi in parchi, prati inglesi, recintati, controllati, addomesticati? Quanta non-città ogni giorno è costretta a diventare città? Architetti, paesaggisti, artisti, attivisti, cavalieri della compresenza di tempi e luoghi, siamo poi capaci di comprendere anche gli Spazi Altri? E come si fa a trovarli, riconoscerli, vederli, e in definitiva, amarli? Siamo davvero capaci a desiderarli per come sono, nelle loro identità molteplici e spesso conflittuali? Si perché gli Altri, da sempre, sono portatori di disordine, di rivoluzione, di crisi delle certezze del nostro stesso essere Uni. L’apparizione dell’Altro alimenta paure. Il suo primo effetto è farci riconoscere in quanto Uni, differenziarci, unificarci, anche con quelli che prima credevamo essere Altri e che oggi sono dalla nostra parte, dalla parte degli Uni. Perché l’arrivo dei Nuovi Altri spinge i Vecchi Altri a diventare Nuovi Uni. E il processo è in continuo divenire, spostamento dopo spostamento. È tutto un divenir Altro.

La città è sempre più densa. Gli spazi liberi sono pochi. Ora, ancora per poco, prima che arrivino le case, sono contesi tra chi se ne appropria per coltivare orti urbani, attivisti ecologisti - i Vecchi Altri-, e chi ci va a vivere e ci costruisce le baracche, sia i migranti - i Nuovi Altri - che anche i Rom, eternamente Altri. Le amministrazioni che fino a ieri ci avevano ostacolati, oggi ci fanno piantare gli orti perché lo spazio non sia occupato dalle baracche. Si mettono gli Uni contro gli Altri, i Vecchi Altri contro i Nuovi Altri. Lo spostamento è continuo, lo spazio è in divenire, e le persone anche. I Nuovi Uni sembrano avere la meglio sugli Altri. Ma poi arriveranno le case, gli ex Nuovi Uni ritorneranno ad essere Altri, difenderemo gli orti ma alla fine dovremmo restituire lo spazio agli Uni, agli eternamente Uni. È un eterno fluire tra gli Uni e gli Altri. E anche noi possiamo essere sia gli Uni che gli Altri, anche contemporaneamente, in diversi contesti, con diverse maschere, ora da Uni e ora da Altri.
Ma noi Uni, quelli buoni, progressisti, inclusivi non abbiamo in fondo in fondo un po’ paura degli Altri? E gli Altri, hanno o non hanno, anche loro, un po’ paura di noialtri? Perché presumiamo che gli Altri vogliono essere come noi Uni? Che aspirino ad essere semplicemente accettati come diversi? Che sappiano accettarci, comprenderci, amarci e non vogliano invece a loro volta colonizzarci, spodestarci, assimilarci? Siamo sicuri che quegli Altri non siano proprio quel nemico disegnato dagli Uni cattivi, i conservatori, i puristi identitari, i razzisti? Dobbiamo proprio lasciare tutto il terreno ai rovi, alle spine alle ortiche, alle baracche, e anche ai chador? O non c’è forse una via, un progetto Altro, capace di vedere, amare e liberare quanti più Uni e Altri che convivono negli spazi di Noialtri?


Spazi liberati, occupati, antagonisti, alternativi, flussi di culture, città meticcia, ibrida e alternativa, dove persone diverse si incontrano ma forse non si vedono veramente. Anche qui tutto sembra toccarsi ma poi alla fine scivola via, non si tocca, non si contamina, ognuno rimane nella sua bolla. Supponiamo, immaginiamo, pensiamo di sapere chi c’è nell’altra bolla, ma non verifichiamo di persona la nostra ignoranza di chi vive, di chi abita, chi passa nel nostro spazio. C’è qualcuno che ha veramente la curiosità e il coraggio di mettere tutto insieme? C’è qualcuno che nel profondo desidera mischiare le cose, tra gli Uni ma in fondo anche tra gli Altri? No, meglio ignorarci piuttosto che offenderci. Demoliamo e ricostruiamo eternamente i muri ipocriti dell’ignoranza reciproca. Rispetto ma non contatto, finta di niente, attenti a non fare una figuraccia, minimo dello sforzo: chiamalo nero, omosessuale, disabile, rom che se lo chiami negro, frocio, storpio o zingaro, come lo stai pensando, questo non sta bene. Rispetta e tieni distante. Finisce che gli sorridi ma non ci parli. Va tutto bene. Viviamo un’epoca di noncuranza, che con buona coscienza mette tutti gli Uni insieme e contro gli Altri, incapace ormai di riconoscere e di vedere né gli Uni né gli Altri. E in questo spettacolo c’è un posto per tutti, per i buoni e per i cattivi degli Uni e degli Altri. Ma la sensazione è che siamo vicini alla fine dello spettacolo. Cosa succederà quando si chiuderà il sipario? Chi rimarrà Uno e chi rimarrà Altro? E se nel frattempo noi Uni fossimo già diventati gli Altri? E se gli Uni cattivi ci avessero messo, proprio a noialtri, noi Uni buoni, tra tutti gli Altri? E se non ci fosse rimasto altro che lo Spazio Altro?

Nessun commento:

Posta un commento